giovedì 8 agosto 2013

ALLA SPUDORATA OFFENSIVA MEDIATICA DEI PETROLIERI RISPONDIAMO CON UN'ARMA IMBATTIBILE CHE LORO NON HANNO: LA VERITA'. AD ESEMPIO SU ROSPO MARE E OCCUPAZIONE.


Assistiamo già da un pò di tempo ad un'offensiva mediatica senza precedenti da parte dei petrolieri e dei loro "interessati" amici su tutti i mezzi di informazione locali e nazionali.

Tra pochi giorni partirà addirittura su RAI1 una trasmissione sul tema che, da come viene presentata, non lascia dubbi sull'univocità del messaggio. Ecco cosa scrivono in proposito sul loro sito gli amici lucani di "Olambientalista" (http://www.olambientalista.it/):


"L’oro nero piace a mamma RAI

Torna in pompa magna il nuovo ed ennesimo marketing dei petrolieri. Dal 16 agosto al 6 settembre 2013 su Rai 1 andrà in onda ogni venerdì alle 22,00 un nuovo programma di attualità che si chiamerà Petrolio“. Il programma si articolerà in quattro puntante in cui si intrecceranno storie, reportage e interviste in studio su cosa impedisce ed ostacola quello che chiamano “sfruttamento di determinate ricchezze“, che nel caso specifico non ci vuole molto a capire che si tratta dell’oro nero.
Ma gli ideatori del programma attraverso un gioco di metafore come “…Pompei, uno dei giacimenti di petrolio del nostro Paese” coniugano lo sfruttamento senza ostacoli della risorsa nera al rilancio del turismo che gira intorno al patrimonio culturale del nostro Paese. Petrolio come metafora, parola chiave o hashtag fidelizzato al rilancio di una Italia in crisi, con lo sfruttamento di “risorse” nascoste, lasciate in un cassetto e cmq poco utilizzate.
A condurre questo nuovo programma, che sarà senza dibattiti e contradditori, sarà il giornalista Duilio Giammaria, inviato del TG1. Sul sito di mamma Rai, ed in particolare su quello di Rai 1, il programma viene così definito: “Petrolio, metafora delle nostre ricchezze che per essere utilizzate devono essere identificate, estratte, valorizzate. Quattro appuntamenti per cercare i tesori nascosti, dimenticati o semplicemente mal utilizzati: la leva con cui risollevare il Paese“.
Fonte consultata: www.rai1.rai.it
 

Vogliamo solo ricordare che la RAI è un bene comune di proprietà di tutti i cittadini italiani che hanno diritto ad una informazione equilibrata e imparziale che garantisca l'ascolto di tutte le posizioni in campo.

A livello regionale il presidente di Confindustria Chieti Paolo Primavera impazza su tutte le reti ed a tutte le ore per magnificare le doti salvifiche di trivelle, pozzi e perforazioni.

A questo poderoso esercito dotato di mezzi sconfinati (soldi, sostegni politici ed amministrativi, conoscenze influenti di ogni genere e in ogni campo, grandi capacità "persuasive" e facilità di accesso a tutti i mezzi di informazione) possiamo rispondere con l'unica arma che non ha: LA VERITA'.

Di quest'arma imbattibile potete trovare varie tracce su questo Blog sia nei vari post pubblicati in questi duri anni di battaglia sia sulla pagina specifica "Il petrolio in Abruzzo" (clicca QUI ).
Non ci stancheremo mai di ripetere, supportati da fior fiore di scienziati, esperti e studiosi non a libro paga, che il petrolio in Abruzzo non può portare alcun giovamento ma soltanto danni dal punto di vista sanitario, ambientale ed economico. Lo ripetono con noi centinaia di migliaia di abruzzesi consapevoli ed innumerevoli associazioni di ogni genere, comprese quelle di categoria ed economiche. Lo afferma con durezza anche la Chiesa cattolica attraverso la CEAM (Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana).

Cari amanti degli idrocarburi, la storica manifestazione di aprile a Pescara non vi ha suggerito niente? Non vi ha fatto venire il legittimo sospetto che sia ora di andarvene con armi, bagagli e portaborse al seguito?

Ma la domanda principale che toglie ogni dubbio è la seguente: perchè i petrolieri ed i loro sostenitori si sono sempre sottratti ad un confronto pubblico su tutte le questioni in campo andandosi a rifugiare in agevoli convegni senza alcun contraddittorio?

Potremmo smontare uno per uno tutti i singoli argomenti sostenuti per realizzare i lucrosi affari (per pochi) del cosiddetto "oro nero", ma per non ripeterci troppo valga a titolo di esempio il recente articolo apparso su un quotidiano regionale sull'insediamento "Rospo Mare" a Vasto.

Qui sotto riportiamo tutte le eccezioni che un nostro super esperto ha rivolto alle affermazioni apparse su quelle pagine. A seguire alcune considerazioni generali riepilogative molto illuminanti.
Ecco cosa intendiamo quando parliamo di VERITA'.



"Il Centro".
 Sabato 20 luglio 2013. Rospo Mare. [Pag. 1, 8 e 9].



        Il pezzo si compone di un articolo specifico, di una colonna e mezza, firmato Andrea Mori, di un altro breve intervento di mezza colonna scarsa, firmato (cr.re.), sul lavoro e sul mare di soldi presumibilmente elargiti agli abruzzesi , di una colonna, di spalla a pag. 9, con 10 note sintetiche e significative sul “campo” Rospo Mare, e, infine, di 10 fotografie a colori, di cui tre, formato tessera, forse altrettanto significative.

       Veniamo dunque subito a sapere, da un ineffabile tale Flaviano Carlorecchio nel primo articolo, che si sta riversando costantemente in mare, in modo vistoso, acqua salmastra usata nel raffreddamento dell’impianto: al reporter, niente affatto curioso, non viene nessuna fantasia di domandare, al su detto Flaviano - o a chicchessia tanto per esempio - quanta acqua si sta ributtando, a quale temperatura, cosa si sta raffreddando e perché, come mai quell’acqua non si ricicla, quale ne è l’impatto (almeno quello termico) sull’intorno e via cantando. Quell’importuna fantasia avrebbe fatto scoprire, sia al reporter che a Flaviano, che essi già stavano vagando fuori della grazia celeste nonché delle leggi e delle allegate norme tecniche del nostro infelice europeo paese. Avrebbe fatto loro chiedersi con quali procedimenti e combustibili si stavano mantenendo “caldi” alcuni punti  del Rig e cosa di sozzo essi sputano fuori nel così detto “ambiente”, insinuando loro forse qualche dubbio implicito sulla bontà e sulla liceità di ciascuna e dell’insieme di queste operazioni.

        Appena dopo, l’ineffabile Flaviano tiene puntigliosamente a precisare che sia i rifiuti (“differenziatamente” raccolti) sia i fanghi (graziosamente separati dall’acqua) non vengono giammai smaltiti in mare, bensì convogliati nell’accogliente porto di Ortona, che ne riceve questo delizioso e gratificante favore. Ora, chi potrà mai spiegare, al Flaviano e al reporter, che tale favore ha luogo in elusione e totale disaccordo col d.lgs. n. 182 del 24.06.2003, ossia con una legge dello stato? Chi potrà mai far loro capire che, quando Ortona non sia affatto idonea a ricevere e “smaltire” tale favore, il problema non deve ricadere su Ortona ma sulla Concessionaria di Rospo Mare, addirittura in fase di progetto preliminare? Questo compito sarebbe forse di competenza delle Capitanerie di Porto di Ortona e Termoli, che però sono qui altrettanto ineffabili, latitanti e lontani dalla su citata grazia celeste da implicitamente e placidamente solidarizzare col nobile Rospo sputa-rifiuti. Ci sarebbe stato anche da andare a vedere cosa succede coi rifiuti nocivi, con quelli pericolosi e con i particolari rifiuti da idrocarburi , ognuno coperto da norme specifiche di legge che né all’ineffabile Flaviano né al reporter sono neanche per un momento passati per la capa: stendere un velo pietoso su questa materia sarebbe infatti costato uno sforzo titanico.

        Si passa poi, inopinatamente, a parlare d’altro, ossia della “mostruosa” piattaformina provvisoria Perro Negro (in spagnolo “cane nero”, in latino “canta, o nerone”), che starà lì più di 6 mesi per dare una revisionata a due pozzi un po’ sfasciatelli, al risibile costo di 200000 Euro per dì.. Sfasciatelli? E quando è successo? Cosa è successo? Qualcuno ne ha detto qualcosa? – Inoltre: il progetto della “revisionata” avrà certamente passato la procedura d’approvazione (Via, Aia e simili), con la relativa consultazione pubblica, vero? E le Amministrazioni Interessate sono state doverosamente coinvolte, no? Certamente qualcuno avrà controllato se un appalto da almeno 40 milioni in tanto poco tempo si sia sottoposto a tutti gli obblighi di servizio pubblico, come da legge Marzano: o no?  Andrea Mori, non ti viene qualche sospetto che ci sia del marcio in Danimarca e che hai visitato un popò di impianto senza vedere una mazza?

        L’articolo si avvia a concludere con qualche notizia sulla nave morta “Alba Marina”: chi sa se il reporter avrà notato se i prodotti convogliati dalle piattaforme su questa bara fetentissima, per esempio, entrano da poppa o da prua e come avviene l’operazione col mare grosso; a quel che dice, non sembra d’aver capito bene neanche per quale motivo il servizio sia reso da un ex-catorcio “cinese”: ci mancava proprio questo, che si riciclasse addirittura una carcassa rottamata dagli stessi “cinesi”! Riuscite a immaginare quali “valide” garanzie di sicurezza ricaviamo da una tale mostruosa “cineseria”? Ma a nessuno viene neanche un piccolo dubbio che, dalle “migliori tecnologie” imposte dalla legge, Rospo Mare sia di brutto fuori con l’accuso (tutta l’Edison, è risaputo, è fuori con l’accuso!).
        E si chiude infine con la strabiliante osservazione che i gabbiani locali, con temeraria ostinazione, abbiano scelto “l’impianto” come luogo privilegiato per le loro diurne operazioni di defecazione: e sì, cari amici, la natura a volte capisce benissimo qual è l’uso tecnologico più opportuno di certe installazioni e, allora, meriterebbe di essere osservata; o meglio, come sono stati rimossi i vespasiani dalle strade cittadine, così dovrebbero essere rimossi questi inopinati cessi marini, sia pure per soli gabbiani: non credete?

        Ovviamente tutti si sono guardati bene dal dirci dove come e in quali misure avvengono la separazione dei prodotti d’estrazione, il pretrattamento degli idrocarburi utili, lo smaltimento e l’emissione dei prodotti rifiutati ed inquinanti, il convogliamento di tutto quanto verso recapiti noti e sicuri etc. etc.: l’avessero fatto, temiamo che ci avrebbero offerto sane ragioni di genuino divertimento intellettuale, se solo ci nascondessimo che siamo di continuo ai margini di qualche disastro, che aspetta solo di accadere .
       Ma si passa ad altro più corposo: il lavoro e i soldi elargiti agli abruzzesi!  Intanto si guardino le foto: delle masse sterminate di addetti e lavoratori che dovrebbero affollare il Rig non si vede nemmeno l’ombra! È peggio di un deserto dei tartari, di letteraria memoria! Si vedono solo gli sperditicci 2 giornalisti e l’ineffabile Flaviano, forse sottoposto a invecchiamento precoce artificiale, per abbellimento. Non c’è in giro nessuno: infatti, alla nota informativa 6 ci si dice che “l’intero campo è sorvegliato 24 ore su 24 da un sistema di telecontrollo a terra nella base di Santo Stefano” e che, in caso di anomalie, le valvole agiscono automaticamente e il sistema antincendio (in caso di fuoruscite di gas) si può attivare immediatamente da lontano. Vi rendete conto? Quali fuoruscite di gas e perché?  E a proposito, come ha fatto Rospo Mare a piazzarsi dentro Santo Stefano Mare (in scadenza fra quattro anni) senza essere passato per le forche caudine dell’art. 8 della legge 9/1991?  E, sempre a proposito, perché a fronte della prossima scadenza di Santo Stefano si sta tenendo pronto SSM 1-9 per l’attacco con Ombrina che, dio non voglia, può arrivare lì fra non meno di 5 anni, anche qui senza passare per la 9/1991? Ma che siamo nella repubblica delle banane? E che fanno le pregevoli Capitanerie di Porto in merito? E l’ing. Terlizzese, innominato manzoniano, che spesso graziosamente ci visita quatto quatto?

         Tanto per la cronaca, a Rospo Mare (manco questo ci ha detto il reporter) al Ministero risultano attivi ormai 21 pozzi su 30; quando si completi la “revisionata” ce ne saranno altri 2, ma per riavvicinare la produzione alle aspettative (4-5000 barili/giorno) bisognerà approvare 3 progettati pozzi nuovi che però, per essere definiti “di esplorazione” dovrebbero rientrare in un permesso di ricerca in scadenza da lungo tempo: e la VIA? E l’AIA? ma che conti la Edison sta facendo? E ce li racconta pure!

        Quanto ai dati tratti dallo studio universitario Fratocchi-Parisse, quelli riportati in articolo sono perfino approssimati per difetto. Non si sa però se per il fatto che i frat-occhi fossero nello studio chiusi o  aperti, non si è detto che della totalità degli abruzzesi impiegati nel settore e nell’indotto (più di 7000, quasi 10000 in picco), solo poco più dell’1% (uno per cento) è impiegabile (ed effettivamente impiegato stabilmente) sul suolo e sul mare abruzzese: il resto nisba, è disperso nei posti più brutti del mondo o lavoricchia saltuariamente e, data la situazione, questo è già da considerare una relativa fortuna. Dei 555 pozzi perforati in territorio abruzzese, ne rimangono attivi solo 15 a gas; di 186 perforati in mare ne restano attivi (in mera teoria) 26 a gas a nord di Pescara e i 21 a olio del Rospaccio Marino. Le nuove istanze di ricerca riguardano aree già abbondantemente esplorate e trovate disperatamente sterili. Le istanze di Coltivazioni in corso vogliono, dati i prezzi, solo dichiaratamente raschiare il sudicio fondo del barile, portando via lo spirito e lasciando a noi la lurida feccia. Che ci sia ancora trippa per gatti è solo un incubo della Confindustria chietina, contrabbandato per un sogno ad occhi aperti: ma quale crescita, quale sviluppo!?! L’accoppiata Fratocchi-Parisse forse, col suo studio, pensa di non aver fatto niente di male nel diffondere delle speranze temerarie: del resto, business is business, e tutto è giustificato e santificato dal fine del lucro: vero? Vi capiamo, ma non esagerate: tutti dobbiamo campare e qua, carissimi Dott. Ing. Prof., nisciune è fesso. Se si vuole mettere in piedi un piano di Ricerca e Sviluppo per l’industria degli idrocarburi in Abruzzo, lo si può fare solo rinunciando in modo assoluto a contare sullo sfruttamento delle sue risorse territoriali, ma contando invece sulle sue formidabili risorse umane e culturali: si deve erigere una piattaforma che produca cultura tecnica e tecnologica e non impiantare piattaforme per spremere qui catrami infami. Quando i nostri reporters arrivino a visitare una tale piattaforma tecnica e tecnologica faremo loro un grande applauso evitando le attuali – improvvide e ignobili – pernacchie.



Esercizio di statistiche e previsioni sulla deriva da idrocarburi in Abruzzo. 29.07.2013.

Quadro Produttivo Attuale.
     L’estrazione di gas dalla terraferma abruzzese è passata gradualmente da 92 915 430 mcs del 2004 a 41 976 336 mcs del 2012: prima della concessione Colle S. Giovanni ( 18 631 230 mcs nel 2012, con un solo pozzo in Colle Sciarra) era tuttavia precipitata a 24 111 247 mcs del 2011 e a 24 091 339 del 2010.
     I dati da mare e terra italiani dicono 12 920 948 679 mcs nel 2004 e 8 510 525 374 nel 2012.

    Oltre quello di Colle S. Giovanni, il contributo di ciascuna concessione all’estrazione di gas è stato il seguente:

Filetto:  nel 2012, 7 834 919 mcs con un solo pozzo, a Ovindoli (5 266 994 nel 2007)

San Mauro            2 501 397 mcs con un solo pozzo                    (7 124 539 nel 2004)

Cellino                 13 008 790 mcs con 12 pozzi                          (24 763 889 nel 2004)
     Le altre 6 concessioni vigenti non hanno apportato nessun contributo ( 4 sono “morte”): fra loro, Aglavizza è appena partita e Miglianico, chi sa perché, è ferma dal 2004. Osservazione: le concessioni Filetto e Colle S. Giovanni possono anche restare stabili, mentre S. Mauro e Cellino tendono a dimezzare l’estrazione ogni 8 anni.

    Il contributo di ciascuna delle 6 (su 7) concessioni nel mare abruzzese all’estrazione di gas è stato il seguente:                
2004                                         2012



B C1 LF        mcs            10 976 958                                  317 058

B C5 AS                            7 849 670                               5 213 947

B C3 AS                         216 509 727                             26 625 622

B C9 AS                             1 628 090                               1 186 814

B C10 AS                       393 315 151                           169 448 209

B C15 AV                          2 991 412                                   201 684   



Osservazione: soltanto B C5 AS e B C9 AS possono ritenersi ancora stabili, le altre stanno rapidamente morendo.

    L’unico contributo all’estrazione di olio è venuto, negli ultimi 8 anni, dalla concessione in mare B C8 LF Rospo Mare. Essa è comunque passata da 262 984 000 kg del 2004 a 205 645 000 del 2011; nel 2012 è stata ferma 6 mesi per incidenti ed esaurimento di alcuni pozzi, rilasciando solo 83 373 250 kg: degli incidenti non è stato detto niente! Nel 2013 ad oggi ha lavorato solo 2 mesi (11 699 239 kg), conducendo, per mezzo della piattaforma Saipem “Perro Negro” i lavori di riparazione di pozzi “incidentati”. Comunque vada, la produzione, senza l’esecuzione di nuovi pozzi, si ridurrà di un terzo subito e, pur con nuovi pozzi, si ridurrà a zero in 15 anni.

Crescita, Sviluppo, Ascesi Mistica, Caduta Diabolica: deduzioni dalle statistiche.
      L’insieme degli addetti all’estrazione, che lavora sul territorio e nel mare abruzzesi fra tutte le concessioni, ammonta a un centinaio di “unità”, di cui poco più della metà residenti in Abruzzo. Tra i vari turni, ai pozzi di Rospo Mare stanno tuttora lavorando, in forma transeunte, circa 200 “unità” su Perro Negro, di cui qualche decina d’abruzzesi di passaggio. Negli ultimi 8 anni l’insieme delle concessioni non solo non ha prodotto alcun nuovo posto di lavoro, ma ha più che dimezzato gli impieghi iniziali. Tranne lo smaltimento dei rifiuti, quasi del tutto fuori norme attuali, non esiste alcuna attività economica indotta dalle concessioni in territorio abruzzese: le attività portuali, infatti, insieme con i trasporti e con la distribuzione degli idrocarburi, dei sottoprodotti e dei rifiuti hanno pochissimo a che fare con le concessioni in essere.
     Le  principali imprese internazionali, che prestano servizi tecnologici alle attività di estrazione, pretrattamento e convogliamento degli idrocarburi, hanno ciascuna una sede importante in Abruzzo [Slumberger, Becker, Weatherford, Halliburton…] ove impiegano 800 addetti circa, di cui abruzzesi più dell’80%. Del totale, mediamente il 25% è impiegato negli uffici, nelle officine e nei magazzini di sede: il resto è, quotidianamente o con diversa frequenza, inviato in trasferta o in missione, per più o meno metà in altre regioni italiane (Romagna, Sicilia, Basilicata) e per l’altra metà all’estero.
     Ci sono altri 4000 abruzzesi circa che, impiegati nel settore “upstream” o nell’indotto dei suoi servizi, sono permanentemente fuori del paese in ogni parte del mondo: tra essi non sono inclusi i lavoratori marittimi a bordo delle petroliere e di altri scafi né quelli dei rifornimenti e dei bunkeraggi.

      Tutti i numeri, indicati approssimativamente con “circa”, erano parecchio più alti nel 2004 e sono continuamente decrescenti : per un paio di decenni ancora, sotto condizioni inopinatamente favorevoli, potrebbero però mantenersi stabili.

       Sono vigenti in terraferma abruzzese 11 permessi di ricerca, che hanno in progetto, nei prossimi 6 anni almeno, la perforazione di non più di 10 pozzi in tutto. A questi, se tutte le istanze per permessi venissero accolte (9), potrebbero aggiungersi da 14 a 18  altri pozzi nello stesso lasso. Nell’arco della durata dei permessi, cioè in 12+1 anni più sospensioni (circa nei prossimi 15 anni dunque) non possono essere messi in previsione più di 50 pozzi nuovi in conto “permessi di ricerca”, nelle più favorevoli condizioni di approvazione e consenso.

       Nello stesso periodo (~ prossimi 15 anni) e nelle stesse condizioni (= tutte le istanze approvate), l’insieme delle concessioni in terraferma non riuscirebbe a richiedere più di altri 8 pozzi. Nello scenario più esageratamente ottimistico, quindi, potrebbero essere messi in conto non più di 4 nuovi pozzi per anno, in terraferma, per tutto questo primo quarto di secolo. Considerando che, attorno ad un pozzo, ruota circa un centinaio di “unità”, fra annessi e connessi, per ~ 6 mesi, tutto quello che si riuscirebbe ad ottenere è il ritorno a casa di ~ 200 degli abruzzesi sparsi altrove, senza un solo posto di lavoro nuovo tranne il turn-over corrente. Niente altro!


      La ricerca in mare è affidata a 4 istanze Petroceltic e a 5 permessi in vigore (4 Petroceltic) che, studi e progetti alla mano, potrebbero comportare sì e no un altro nuovo pozzo l’anno nella rimanenza di questo quarto di secolo. Quando approvate, le istanze di Coltivazione potrebbero anche richiedere, nello stesso triplo lustro, fino a 10 nuovi pozzi, mentre le concessioni già in essere, tra lusco e brusco, ne lavorerebbero possibilmente altri 5 (grasso che cola!). In mare dunque, nel più eccelso ottimismo chietin-confindustriale, giammai s’andrebbe oltre i 2 “nuovi pozzi” l’anno, che riporterebbero forse a casa circa un altro centinaio d’abruzzesi migranti. Niente altro!


      Ipotizzando un’attendibile percentuale di successo del 60% fra terra e mare abruzzesi, un pozzo per l’altro [così sembra dire la storia], l’eccelso ottimismo chietin-conflittustriale tutt’al più  avrebbe dunque 50 altri pozzi variamente vomitanti per le prossime 2 generazioni, che andrebbero a sostituire i “morenti”, oltre 60 produttivi, attuali. In un tale rapporto massimo di 5 a 6, anche ipotizzando la stessa produttività media per pozzo, non c’è quindi verso che la produzione possa collocarsi a più di ¾ di quella sofferta finora, checché ne sognino appunto i chietin-conflittuali e i loro fantasiosi consulenti dell’università aquilana. Nessuna crescita, nessuno sviluppo, nessun mantenimento nemmeno!


      Da tutti i dati di cui si dispone e da quello che se ne può legittimamente (tecnicamente) dedurre, possiamo dunque azzardare molto ragionevolmente la conclusione che, acconsentendo alle pretese paradisiache dei petrolieri, possiamo tutt’al più sperare di riportare a casa qualche centinaio di nostri migranti, i cui stipendi già sono comunque qua; ma, non essendo il paradiso di questo mondo, anche tale miserabile speranza è ridotta a nulla. E non si è neanche accennato all’ambiente, alla salute, alla qualità della vita, ai danni agli altri settori economici, al depauperamento e alla de valorizzazione del territorio, alla sicurezza da incidenti e disastri etc. etc. etc., né si è dato sguardo alcuno ai contesti finanziari, di legalità e di sicurezza nei quali i progetti di sfruttamento petrolifero prendono piede: altro che paradiso petrolifero! Ben poco è più brutto di questo inferno: ci vorrà però qualche prossima puntata  per parlarne. Sopravvivremo?              

        
La VERITA', appunto.

L’oro nero piace a mamma RAI

monoscopioraiTorna in pompa magna il nuovo ed ennesimo marketing dei petrolieri. Dal 16 agosto al 6 settembre 2013 su Rai 1 andrà in onda ogni venerdì alle 22,00 un nuovo programma di attualità che si chiamerà “Petrolio“. Il programma si articolerà in quattro puntante in cui si intrecceranno storie, reportage e interviste in studio su cosa impedisce ed ostacola quello che chiamano “sfruttamento di determinate ricchezze“, che nel caso specifico non ci vuole molto a capire che si tratta dell’oro nero.
Ma gli ideatori del programma attraverso un gioco di metafore come “…Pompei, uno dei giacimenti di petrolio del nostro Paese” coniugano lo sfruttamento senza ostacoli della risorsa nera al rilancio del turismo che gira intorno al patrimonio culturale del nostro Paese. Petrolio come metafora, parola chiave o hashtag fidelizzato al rilancio di una Italia in crisi, con lo sfruttamento di “risorse” nascoste, lasciate in un cassetto e cmq poco utilizzate.
A condurre questo nuovo programma, che sarà senza dibattiti e contradditori, sarà il giornalista Duilio Giammaria, inviato del TG1. Sul sito di mamma Rai, ed in particolare su quello di Rai 1, il programma viene così definito: “Petrolio, metafora delle nostre ricchezze che per essere utilizzate devono essere identificate, estratte, valorizzate. Quattro appuntamenti per cercare i tesori nascosti, dimenticati o semplicemente mal utilizzati: la leva con cui risollevare il Paese“.
Fonte consultata: www.rai1.rai.it
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Ma gli ideatori del programma attraverso un gioco di metafore come “…Pompei, uno dei giacimenti di petrolio del nostro Paese” coniugano lo sfruttamento senza ostacoli della risorsa nera al rilancio del turismo che gira intorno al patrimonio culturale del nostro Paese. Petrolio come metafora, parola chiave o hashtag fidelizzato al rilancio di una Italia in crisi, con lo sfruttamento di “risorse” nascoste, lasciate in un cassetto e cmq poco utilizzate.
A condurre questo nuovo programma, che sarà senza dibattiti e contradditori, sarà il giornalista Duilio Giammaria, inviato del TG1. Sul sito di mamma Rai, ed in particolare su quello di Rai 1, il programma viene così definito: “Petrolio, metafora delle nostre ricchezze che per essere utilizzate devono essere identificate, estratte, valorizzate. Quattro appuntamenti per cercare i tesori nascosti, dimenticati o semplicemente mal utilizzati: la leva con cui risollevare il Paese“.
Fonte consultata: www.rai1.rai.it
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Ma gli ideatori del programma attraverso un gioco di metafore come “…Pompei, uno dei giacimenti di petrolio del nostro Paese” coniugano lo sfruttamento senza ostacoli della risorsa nera al rilancio del turismo che gira intorno al patrimonio culturale del nostro Paese. Petrolio come metafora, parola chiave o hashtag fidelizzato al rilancio di una Italia in crisi, con lo sfruttamento di “risorse” nascoste, lasciate in un cassetto e cmq poco utilizzate.
A condurre questo nuovo programma, che sarà senza dibattiti e contradditori, sarà il giornalista Duilio Giammaria, inviato del TG1. Sul sito di mamma Rai, ed in particolare su quello di Rai 1, il programma viene così definito: “Petrolio, metafora delle nostre ricchezze che per essere utilizzate devono essere identificate, estratte, valorizzate. Quattro appuntamenti per cercare i tesori nascosti, dimenticati o semplicemente mal utilizzati: la leva con cui risollevare il Paese“.
Fonte consultata: www.rai1.rai.it
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