lunedì 1 giugno 2015

RESISTENZA DEMOCRATICA: RIFLESSIONI DOPO IL 23


“Ho sempre avuto due chiodi fissi: l’ansia di giustizia, e la convinzione presuntuosa di cambiare il mondo”
(Fabrizio De André)
 A quelli che continuano a camminare.
Il 23 maggio 2015 è una data che verrà impressa negli annali della storia di Lanciano, della lotta per l’ambiente, della democrazia applicata. Il 23 maggio non sarà dimenticato facilmente, perché il 23 maggio è appena diventato una data scomoda.
Studiando la storia del ‘900, sono rimasta affascinata dal sorprendente fenomeno della Resistenza. Nessuno ha dato un ordine, preso l’iniziativa, innalzato una bandiera particolare: i cittadini si sono sentiti finalmente cittadini. In Italia una cosa del genere non era tanto scontata. La lotta al nazifascismo non è stato un secondo Risorgimento, perché il Risorgimento è stato fatto da pochi intellettuali, con nobili e lungimiranti ideali, ma comunque senza coinvolgere la popolazione, e senza guardare ai problemi del diverso. No, la Resistenza è un movimento partito dalle viscere della cittadinanza: le persone si sono sentite soffocare, stavano perdendo la loro libertà di esprimere la propria personalità. Allora hanno cominciato a sentire in modo quasi istintuale, i legami ancestrali e inconsci, spesso rimossi dall’egoismo, che intessono la convivenza civile. Solidarietà, diritti, libertà, uguaglianza, democrazia, ecco le parole d’ordine. Dalle montagne si udiva il canto della speranza di una giustizia, non dell’uomo contro l’uomo per interessi egoistici, di una società dove il povero è schiacciato dalla moneta, ma di una giustizia sociale in cui al primo posto si erge la solidarietà. E ci sono riusciti, non senza difficoltà, anzi; però ci sono riusciti. E la prova schiacciante di questa vittoria è la Costituzione Italiana, “la più bella del mondo”, il manifesto scritto col sangue dei martiri della libertà.
Il 23 maggio 2015, a quasi un mese dall’anniversario del 25 aprile, 50000 cittadini sono scesi in strada e hanno detto “NO” a una politica arrivista ed egoista, dettata dalla sete di sviluppo e ricchezza di pochi uomini e che sfrutta l’indifferenza dilagante del ventesimo secolo. Ho assistito a diverse battaglie, ma mai ho visto un movimento del genere. Lo credevo quasi impossibile: movimenti, associazioni, liberi cittadini che si sono uniti sotto un’unica bandiera, senza un secondo fine, che hanno collaborato applicando ai massimi livelli la democrazia. Una “polis” che ha posto al centro un ideale comune, e ognuno ha contribuito mettendo a disposizione i propri strumenti. Forse qualcosa sta accadendo, qualcosa che sta facendo risvegliare gli animi intorpiditi dai mass media, da chimeriche illusioni di successo, da un progresso ingannevole che pare inarrestabile.
Il corteo chilometrico colorato ed entusiasta del 23 maggio contro Ombrina deve essere un punto di partenza, non possiamo fermarci qui. Abbiamo dimostrato che se i cittadini capiscono il valore di ciò che hanno intorno, per sé e per chi viene dopo, non c’è egoismo che tenga. Sarà difficile andare avanti, perché la politica risponderà con la sua procrastinante ambiguità, perché i meno convinti si sentiranno stanchi, perché comincerà a diffondersi uno scoraggiamento mediatico per interrompere le proteste e mandare avanti i lavori. Però rimarranno sempre quelle persone che ci credono veramente, che non si arrendono, che non rispondono alla violenza con altra violenza, ma che usano due armi molto più letali: lo sciopero e il voto. Cambierà mai qualcosa? È tutto un’utopia? Bene, ecco cosa diceva Eduardo Galeano dell’utopia: “Lei è all'orizzonte. [...] Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo: a camminare.”
Sento che l’indifferenza e il menefreghismo sono diventati le nuove malattie, pochi voglio sporcarsi le mani, ma “a che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?”. Pochi vogliono essere partigiani e correre il rischio di essere perseguitati da una giustizia posticcia.
Una volta, camminando tra le tombe del cimitero per stranieri di Roma, mi sono imbattuta in una frase: “Difendete i vostri diritti, ma fatelo con grazia”. È questo quello che sento più urgente: non è
giustizia rispondere alla violenza con altra violenza, all’odio con l’odio. La legge del taglione è delle persone che non riescono a vedere oltre i fatti.
Tutto quello che sono, con i miei pensieri e i miei valori, lo devo alla scuola (o almeno a quello che ci rimane). Mi ha insegnato a pensare, e io le sarò sempre grata per questo. Mi ha insegnato che lo spirito critico può salvarti da una massificazione, da una dittatura, dalla violenza, e che la libertà è un tesoro molto fragile, difficile da mantenere e da garantire a tutti. Nel mio percorso di studi sono inciampata in tutte le riforme che il governo ha varato, dalla Gelmini alla “Buona Scuola”, vedendo la scuola crollare sotto i miei occhi e sentendomi impotente di fronte al degrado. Nella scuola si fanno le prime esperienze di cittadinanza attiva, ed è questo che vogliono evitare; il processo di omologazione non vuole che ci siano esseri pensanti con la propria testa capaci di affermare una propria identità, il potere centralizzato non può permetterlo. È per questo che oggi abbiamo bisogno di nuove forme di “clandestinità”: in una società che perseguita la socialità, l’unica soluzione è metterci insieme, in gruppi, movimenti, comunità, e ricordarci che siamo esseri umani.
Da giovane ragazza che ha davanti tutta una vita incerta e turbolenta, io voglio credere che è ancora possibile fare qualcosa, voglio che “l’ansia di giustizia” sia il motore delle mie azioni, e ho una gran paura di cadere nell’indifferenza automatica.
Il mio auspicio è che ogni scelta sarà dettata dalla consapevolezza che “La terra non è eredità ricevuta dai nostri Padri, ma un prestito da restituire ai nostri figli”.
Buon cammino verso l’orizzonte.
Elisa Sasso

1 commento:

luciano ha detto...

Brava Elisa, anzi bravissima. Delle tue parole ne farei un vero e proprio "manifesto", da leggere nelle classi, in parrocchia, sui campi di calcio e di pallacanestro, nelle piazze, per le vie, sulle spiagge assolate e nei rifugi alpini, insomma ovunque ci sia un'anima che sappia ascoltare.